“Scendemmo al mattutino. Quell’ultima parte della notte, quasi la prima del nuovo giorno imminente, era ancora nebbiosa. Benché la chiesa fosse fredda, fu con un sospiro di sollievo che mi inginocchiai sotto quelle volte, al riparo degli elementi, confortato dal calore degli altri corpi, e della preghiera. Il canto dei salmi era iniziato da poco. Quando si giunse alla fine dell’Ufficio, l’Abate ricordò ai monaci e ai novizi che occorreva prepararsi alla grande messa natalizia e che perciò, come d’uso, si sarebbe impiegato il tempo prima delle laudi provando l’affiatamento dell’intera comunità nell’esecuzione dei canti previsti per quella occasione. Quella schiera di uomini devoti era in effetti armonizzata come un solo corpo e una sola voce, e da un volgere lungo di anni si riconosceva unita, come un’anima sola, nel canto. L’Abate invitò a intonare il Sederunt. L’inizio del canto diede una grande impressione di potenza. Sulla prima sillaba si iniziò un coro lento e solenne di decine e decine di voci, il cui suono basso
riempì le navate e aleggiò sopra le nostre teste, e tuttavia sembrava sorgere dal cuore della terra. Né s’interruppe, perché mentre altre voci incominciavano a tessere, su quella linea profonda e continua, una serie di vocalizzi e melismi, esso – tellurico – continuava a dominare e non cessò per il tempo intero che occorre a un recitante dalla voce cadenzata e lenta per ripetere dodici volte l’Ave Maria. E quasi sciolte da ogni timore, per la fiducia che quell’ostinata sibilla, allegoria della durata eterna, dava agli oranti, le altre voci (e massime quelle dei novizi) su quella base petrosa e solida innalzavano cuspidi, colonne, pinnacoli di neumi. E mentre il mio cuore stordiva di dolcezza, quelle voci parevano dirmi che l’anima (degli oranti e mia che li ascoltavo), non potendo reggere alla esuberanza del sentimento, attraverso di essi si lacerava per esprimere la gioia, il dolore, la lode, l’amore, con slancio di sonorità soavi”.
È tutto il complesso della musica vocale monodica, inquadrata negli schemi delle celebrazioni liturgiche della Chiesa latina di rito romano. Fiorisce alle origni del Cristianesimo raggiungendo il suo apice nel Medio Evo per interrompere il suo sviluppo con la comparsa della polifonia e quindi dell'Umanesimo.
Deve il nome a S. Gregorio Magno, pontefice tra il 590 e il 604, a cui si attribuiscono la riforma, la riorganizzazione e la codificazione di questo vastissimo repertorio quando, sotto l’influsso delle molteplici attività umane in seno alla stessa Chiesa e alla lenta opera di adattamento alle lingue volgari, elementi profani o esotici minacciarono di corrompere la purezza di tale canto. Gregorio non solo compose alcuni nuovi canti ma rivide e riunì nell’“Antiphonarius Cento” tutti quelli preesistenti. L’“Antiphonarius Cento” era legato all’altare di S.Pietro con una catena d’oro; andò perduto durante le invasioni barbariche ma alcune copie ne furono tratte e diffuse nei Paesi europei, specialmente in Inghilterra, Francia e Svizzera, da predicatori e sovrani come Pipino e Carlo Magno desiderosi di soffocare nell’universalità del rito romano le spinte di originalità e di indipendenza delle loro terre. Indipendentemente dalla vaga attendibilità della leggenda dei due cantori Petrus e Romanus che, inviati dal papa Adriano I a Carlo Magno (790), si sarebbero fermati il primo a Metz e il secondo nell’abbazia svizzera di S. Gallo dando origine a due famose scuole di canto Gregoriano, certo è che nella diversità espressiva presente nei vari Paesi, è facile riscontrare le tracce di una fonte unica e, per così dire, autorizzata.
Alle origini della liturgia cristiana si distinguono due modi, due princìpi di canto, che gli antichi definirono con “accentus” (o canto sillabico) e “concentus”: il primo si riferisce a un testo fortemente declamato dove la recitazione si svolge tutta su una stessa nota a lungo ripetuta (es.: Salmodia); il secondo si riferisce espressamente a un testo trasformato in canto autentico (es.: Inni).
Essendo destinato alla voce, il Canto Gregoriano ignora il concetto di “tono” (inteso come scala le cui frequenze siano determinate in modo assoluto). Le sue strutture si inquadrano nella “modalità”, determina nei suoi vari aspetti ,attraverso la posizione che i semitoni mi - fa e si - do occupano all’interno della scala.
Le caratteristiche fondamentali del canto gregoriano sono la monodia, il ritmo libero, il modo diatonico e la coralità che si incontrano nel massimo equilibrio senza la necessità di qualsivoglia appoggio strumentale (ivi compresa la voce, pur chiesastica, dell'organo).
Altra peculiarità […] è l'esclusione, limitatamente all'epoca più antica, di ogni intervento femminile.
313: I cristiani, liberi di professare la loro fede, portano con sé dalle catacombe delle melodie semplici sulle parole dei salmi, come facevano gli Apostoli a Gerusalemme.
396: Agostino piange ascoltando i canti che i fedeli di Milano elevano a Dio nel duomo.
V-VII sec.: Il repertorio latino si diversifica nei testi e nel modo di cantare secondo le aree geografiche (Roma, Gallia o Spagna Visigota).
600 ca: Con l'aiuto dei Capetingi, il papa Gregorio Magno inizia una politica di unificazione delle liturgie occidentali. Il nuovo repertorio liturgico-melodico che ne risulta, sarà denominato canto ‘gregoriano’.
VII-IX sec.: Apogeo del canto gregoriano. Un’epoca di intensa composizione. I compositori anonimi, sulla base dei canti salmici, amplificano le melodie che daranno vita alle Antifone d'Ingresso e di Comunione della Messa. Creano dei brani musicali per scholæ o solisti: gli Alleluia e i Graduali. I fedeli, monaci o cantori imparano tutto a memoria: la trasmissione del canto avviene per via orale.
850 ca: Invenzione delle prime scritture musicali. L’utilizzo dei ‘neumi’ cioè di segni scritti a penna su pergamena, permette di annotare in maniera precisa il ritmo e l'espressione del canto; ciò aiuta nella memorizzazione delle melodie, ma non dà ancora l'intervallo tra le note.
1050 ca: Il monaco Guido d'Arezzo precisa la scrittura per definire l'intervallo tra le note dando loro un nome, Ut - Re - Mi - Fa - Sol - La, e mettendo a punto il sistema del tetragramma. Questa invenzione segna purtroppo l'inizio della decadenza del canto gregoriano. Una volta sostituita la memoria con la lettura delle note, il canto diventa più matematico e perde in freschezza. Nascono le prime polifonie, basate sul gregoriano. Il ritmo non è più basato sulla parola latina, ma è fissato con delle misure. Il canto gregoriano avrà allora aperto la strada alla musica moderna, e grandi compositori come Bach e Mozart attingeranno tanto a questo antico canto.
1840: Il canto gregoriano è chiamato ‘cantus planus’ talmente ha perso della sua autenticità: è diventato noioso, lento, senza vita. I monaci benedettini dell'Abbazia di Solesmes (Francia) iniziano allora una lunghissima opera di ricerca scientifica, basata sui manoscritti che i monaci pazientemente copiano e fotografano in tutte le abbazie e biblioteche d'Europa. Grazie a questi monaci, il canto gregoriano tende a ritrovare la sua autenticità: un potente strumento di preghiera.
1903: Papa Pio X definisce il canto gregoriano come canto proprio della Chiesa Romana e propone al popolo cristiano di pregare in bellezza.
1962: Il Concilio Vaticano II verrà a confermare con la sua autorità l'uso di questo canto sempre praticato nella Chiesa con le seguenti parole: “La Chiesa riconosce il canto gregoriano come proprio della liturgia romana: perciò, nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale” (S.C. 116).
Fonte: Metodo di canto gregoriano, Giovanni Vianini Schola Gregoriana Mediolanensis; Milano; 1981-2003 www.cantoambrosiano.com
Repertorio del Canto Gregoriano
Il repertorio del canto gregoriano è molto vasto e viene differenziato per epoca di composizione, regione di provenienza, forma e stile. Esso è costituito dai canti dell'Ufficio o "Liturgia delle Ore" e dai canti della Messa.
Nei canti dell'Ufficio si riscontrano le seguenti forme liturgico-musicali: le Antifone, la Salmodia: il canto dei Salmi e dei Cantici, i Responsori (che possono essere brevi o prolissi) e gli Inni.
Nei canti della Messa si distinguono:
~ i canti dell'Ordinario o Ordinarium Missæ, con testi fissi, sono: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei.
~ i canti del Proprio o Proprium Missæ, con testi specifici secondo il tempo liturgico, sono: Introito, Graduale, Sequenza, Alleluia (sostituito dal Tratto nel tempo di Quaresima), Offertorio e Comunione.
Il “Liber Usualis Missæ et Officii”, o più comunemente “Liber Usualis”, è un libro liturgico che contiene una raccolta dei canti gregoriani utilizzati dalla Chiesa Cattolica Romana e non solo. Dei canti vengono trascritti i testi e la melodia nella sola notazione quadrata.
La prima edizione risale al 1896, effettuata dai monaci dell’Abbazia di Solesmes. Sono seguite diverse edizioni e dopo il Concilio Vaticano II non ne ha più avute di nuove.
Il Liber Usualis è diffuso in tutto il mondo in latino, anche se attualmente viene sostituito dal più aggiornato Graduale Triplex (protetto da copyright) dove nel repertorio - oltre alla notazione quadrata - viene trascritta anche la notazione sangallese e metense.
Missa Regia
L’autore è Henri (anche Henry) du Mont, compositore francese del XVII secolo che, oltre a centinaia di mottetti, ha scritto anche 5 messe in canto gregoriano: qualcosa di abbastanza originale e infrequente nella sua epoca.
Tali messe furono composte per la cappella di corte, ebbero comunque una notevole diffusione soprattutto in Francia. La più famosa è quella che presentiamio nella pagina degli spartiti. Viene eseguita fino ad oggi in varie occasioni, essendo piuttosto semplice ma insieme solenne.
Il tema che ricorre nell’“incipit” dei vari pezzi contribuisce tanto all’unità della composizione quanto alla facilità di apprendimento da parte dei cantori.
Il Graduale Romano-Seraphicum contiene le Messe e i canti Propri dei Santi dell’Ordine Francescano, rimandando per le parti dell’Ordinario al Graduale Romano comune. C’è da notare comunque la variabilità del Proprio dei Santi Francescani. Ad esempio, solo di sant'Antonio si trovano messe con Graduali, Antifone di Offertorio e di Comunione molto diverse tra loro. Solo l’Introito nei messali francescani è praticamente sempre quello comune dei dottori della Chiesa, anche prima del riconoscimento ecclesiale di sant' Antonio quale Dottore Evangelico.
Il testo del Graduale gregoriano dei Frati Minori nasce dall’esigenza delle varie famiglie francescane: Osservanti e Riformati, unite insieme nel 1897 da Papa Leone XIII, di disporre di un libro comune a tutto l’Ordine per la celebrazione dei Santi. Qualche volta perciò non coincide nel calendario e nei Propri con i testi relativi ai santi più antichi e con quelli dei frati minori Conventuali o dei Cappuccini. Solo con la riforma di Paolo VI e l’introduzione negli anni ‘70 del secolo scorso del nuovo Messale Romano-Seraphicum, tutti i francescani riuscirono a mettersi d’accordo su un testo unico per la celebrazione dei loro numerosi santi.
Questo testo risulta utilissimo non solo per le celebrazioni delle Messe in forma solenne, ma anche per recuperare antifone e canti fino ad oggi indicati solo nei testi liturgici (si pensi al Proprio della Solennità di San Francesco), ma di cui era difficile reperire la musica. Questo Graduale è una vera perla preziosa per la riscoperta della liturgia e della musica dell’Ordine Francescano.
Monaci cantando l'introitus 'Cantate' Miniatura
Monaci cantando Miniatura
Spartito di canto gregoriano Pagina di manoscritto