Musica Sacra Antica
Canto Gregoriano e Laude Medievali
Canto Gregoriano e Laude Medievali
La Lauda (o Lauda spirituale) è la forma con la quale si indica un componimento poetico di tipo religioso e di intonazione popolare dialettale italiana, comparsa nel basso Medioevo (XII – XIII sec.) largamente sviluppatasi nel XIV e praticata fino al Rinascimento. Il suo metro è quello della ballata. Il successo di questa forma poetica è collegato con l’espandersi del movimento dei Disciplinati o Disciplinanti o Battuti, che ebbe come promotore frate Raniero Fasani e dall’Umbria si diffuse tanto verso il nord Italia quanto verso il sud con manifestazioni largamente popolari. Non si tratta della musica ufficiale del Canto Gregoriano e neppure di quella extraliturgica o profana del tempo, ma della musica paraliturgica usata nell’Alto Medioevo con finalità devozionale. È la musica che ha contribuito fortemente all’estendersi delle nuove lingue romanze. Il termine trae la propria origine dai testi salmodici in cui appaiono frequentemente le parole “laus”, “laudate,” o altre simili. Ancora oggi col termine latino “laudes” ci si riferisce a una precisa parte dell'Ufficio canonico del Mattutino.
Armando Curcio Editore; Roma; 1982Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, Spoleto; 1992Unione Tipografico Editrice Torinese, Torino; 1969
Le Laude sbocciarono nelle confraternite (pie associazioni laicali) e nei conventi, ad uso soprattutto dei laici: erano infatti adatte alla partecipazione collettiva, grazie all'introduzione della lingua volgare e al loro impianto ritmico. Erano utilizzate prevalentemente nelle processioni e nelle paraliturgie. Movimenti religiosi come quelli dei “flagellanti” e dei “disciplinati” detti anche “joculatores Domini” sono appunto i protagonisti della fase iniziale della Lauda. Vi fu probabilmente un vero e proprio movimento di monaci-cantori vaganti, come auspicò S. Francesco di Assisi quando chiese che frate Pacifico, “signor di versi”, e altri compagni andassero predicando e cantando le lodi di Dio “tamquam joculatores Domini”: come giullari del Signore. Il più grande di questi fu Jacopone da Todi; un altro nome prestigioso è quello di Garzo dell'Incisa. Tra le prime traduzioni in volgare delle “Laudes” si indicano generalmente quelle fiorentine del sec. XII ad opera dei “laudantes” (poi “laudesi”) su soggetto mariano. Sin dal primo Duecento è nota infatti la presenza di gruppi di “laudesi”, come quelli della confraternita fiorentina dei “Laudesi della Beata Vergine”, di cui fu emanazione l'ordine dei “Servi”, che nel 1233 cantavano laude in volgare alternandosi a fanciulli in coro e accompagnandosi con strumenti. La Lauda andò poi gradualmente arricchendosi nel testo con l'inserimento di riferimenti biblici e si ebbero le “Laude allegoriche” e le “Laude drammatico-narrative”, tali da portare l'esperienza da una fase anche polifonica a quella più chiara e suadente dello stile monodico, fino ai caratteri e alle lunghezze dell' “oratorio”, (composizione musicale d'ispirazione religiosa ma non liturgica). La tecnica componitiva era presa in prestito dalla poesia dei giullari. Il fenomeno della Lauda italiana è pressoché sovrapponibile a quello francese de “Les Miracles de Nostre Dame” di Gautier de Coinci e allo spagnolo delle “Cántigas” di Alfonso X (el sabio). Ciò che lega queste nuove espressioni poetico-musicali è la significativa presenza di dediche devozionali alla Vergine Maria. Se da un lato i tre fenomeni presentano notevoli affinità spirituali, dall’altro bisogna notare la sostanziale differenza dal punto di vista musicale. Il carattere musicale della Lauda è strettamente legato al testo e segue l'evoluzione stessa del linguaggio sonoro dell'epoca, approfittando delle forme omofoniche, monodiche e del mottetto. In particolare il Laudario di Cortona è molto più vicino allo spirito musicale liturgico del periodo (quello francescano). Pur richiamando ancora la modalità gregoriana, l’andamento melodico e sillabico risulta più chiaro e comprensibile. La scelta modale tende verso i modi più “tonali” (se così possiamo dire). Il “Deuterus” risulta assente mentre compare l’uso di “fictæ” (alterazioni). L’estensione superiore delle Stanze rispetto alle Riprese testimonia, con ragionevole attendibilità, che le prime venissero eseguite da un solista e le seconde da tutti. Le Laude di esaltazione sono generalmente più acute e slanciate rispetto a quelle di pentimento e di pietà. Dopo il 1480 il canto delle Laude divenne particolarmente popolare a Firenze finché il monaco Girolamo Savonarola non ne proibì la contaminazione con altri stili di musica sacra popolare. La Lauda ebbe una rinascita nel periodo della controriforma tanto che uno dei punti del Concilio di Trento fu quello di migliorare l'intelligibilità dei testi e la semplicità della Lauda ne fu il migliore esempio. Con l'affermarsi dell' “oratorio” la Lauda perde definitivamente la sua importanza.Armando Curcio Editore; Roma; 1982Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, Spoleto; 1992
Ai giorni nostri si conoscono circa 200 “Laudari” (dal latino “laudaria” termine indicante il libro dove si raccolgono le laude da recitare o cantare). La notazione musicale dei laudari è quadrata su un rigo musicale di 4 linee, ma talvolta anche di 3 o 2. Le raccolte più importanti sono il Laudario di Cortona (proveniente dal convento cortonense di San Francesco) e il Codice Magliabechiano II della Biblioteca Nazionale di Firenze. La paleografia colloca il Laudario di Cortona fra il 1260 e il 1297; la stesura delle 46 laude durò nel tempo (come accadde per molte compilazioni simili) e comprende componimenti di età diverse. Il Laudario del Cod. Magliabechiano II, I, 122 contiene testi e melodie comuni ad alcune laude cortonensi ed altre del tutto autonome, che stilisticamente appaiono posteriori. Apparteneva alla Confraternita di Santa Maria e la sua redazione è da collocarsi fra il 1310 e il 1340, ma alcune laude sono sicuramente anteriori (se non altro, quelle comuni al codice cortonense). Le 20 laude comuni risultano “abbellite” da virtuosismi vocali, mentre quelle nuove si presentano più semplici e sobrie. Talune utilizzano una melodia appartenente ad altra lauda.Armando Curcio Editore; Roma; 1982
Fu rinvenuto nel 1876 in un sottoscala della Biblioteca Comunale di Cortona dal suo bibliotecario Girolamo Mancini che lo classificò col n. 91 nella serie di manoscritti presenti nella Biblioteca stessa. È un codice menbranaceo che contiene 171 carte le cui prime 132 riportano completo il testo poetico, mentre della notazione musicale è riportata solo la prima stanza. Queste 132 pagine raggruppano 47 Laude. Unica eccezione è la Lauda n. 5 che presenta la sola parte testuale, il rigo musicale risulta privo di notazione musicale. Il Laudario di Cortona è da ritenersi il più importante documento per la lauda del XIII secolo poiché è il primo documento dove il volgare italiano viene musicato. Un italiano che, pur ordinato secondo forme che richiamano le lontane origini arabo-andaluse, si inserisce nella melopea francescana rivelando il tipo di musica praticata a Cortona a cavallo del XII - XIII secolo. È da tener sempre presente che si tratta comunque di una raccolta di composizioni poetico-musicali già esistenti nell’ambito umbro-toscano. Tale sistemazione potrebbe essere attribuita a frate Elia. [Elias Bonusbaro, successore di S. Francesco come ministro generale dell’Ordine Francescano].
Il Laudario Magliabechiano (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano II I 122, Banco Rari 18) contiene 97 laude, di queste 20 sono comuni a quelle del Laudario di Cortona. Le laude musicate sono 88 di cui 10 presentano una melodia molto simile a quelle del Laudario di Cortona. Il Laudario Magliabechiano riveste un’importanza particolare anche per la preziosità delle sue miniature.
L’autore è Gautier de Coinci (1177 - 1236) noto soprattutto per la sua devozione alla Vergine Maria. Mentre svolgeva la mansione di Priore a Vic-sur-Aisne scrive Les Miracles de Nostre-Dame dove compone poesie in lode alla Vergine Maria attingendo alle melodie e alle canzoni popolari del suo tempo. È un’opera reverenziale ma umoristica, piena d’amore per il culto della Vergine Maria, che a quel tempo riceve inoltre attenzione da parte di San Bernardo di Chiaravalle il sostenitore medievale principale della venerazione della Vergine come contrappeso al più rigoroso scolasticismo cristiano, che allora era la forza spirituale dominante. A differenza dei tomi più oscuri di Clairvaux, il libro di de Coinci (mentre condivide molti degli stessi fondamenti ideologici) tende più verso l’indulgenza o la sensibilità. Molte sue canzoni scritte venivano adattate alle ballate popolari allora in voga nella corte reale, o prendevano in prestito motivi di canzoni rustiche romantiche o pastorali. Les Miracles de Nostre-Dame è uno dei lavori più popolari della letteratura mariana del periodo e include un insieme molto particolare di valori cristiani, che vedono nella Vergine Maria l’aspetto più umano e benevolente della redenzione, intercessione e misericordia.Molte delle canzoni hanno a che fare con gli elementi chiave della vita terrena della Vergine: la sua concezione, la sua nascita, la sua infanzia, la sua giovinezza nel tempio, gli eventi registrati nei vangeli e la sua “dormitio”. Le poesie e le storie sono in genere più attinenti ai miracoli contemporanei.
Scoperto dal musicologo francese Edmond de Coussemaker nel 1852 il Codice di Montpellier è una delle più importanti fonti della polifonia francese del XIII secolo. La sua compilazione risale al XIV secolo ca. e contiene 336 opere polifoniche composte tra il 1250 e il 1300. Si ritiene provenga da Parigi. Il Codice di Montpellier è suddiviso in fascicoli, ciascuno dei quali contiene brani di generi musicali diversi. In esso si riscontrano: scritture di polifonia liturgica; mottetti tripli in francese, comprensivi di un “cantus firmus” con tre linee di contrappunto sopra il rigo; rudimentali mottetti doppi che consistono in un “cantus firmus” con due linee di contrappunto sotto il rigo; mottetti doppi in lingua latina; mottetti doppi in lingua francese; 2 mottetti vocali in lingua francese; 3 mottetti vocali. I fascicoli 3, 5, e 7 presentano delle integrazioni più tardive. La contemporanea presenza di diversi sistemi di notazione ha reso il Codice di Montpellier una fonte indispensabile per la cronologia degli stili francesi nella polifonia medievale.
Sono canzoni monofoniche spagnole del XIII secolo in onore della Vergine Maria e dei suoi miracoli, contenute in un codice musicale. Vennero raccolte per il re Alfonso X (el Sabio), un amante della poesia e della musica, e sono tuttora conservate a Madrid e Firenze in quattro manoscritti, che contengono anche raffigurazioni pittoriche di strumenti e suonatori. Si tratta di una raccolta di 427 composizioni in lode alla Vergine Maria. La maggioranza sono cántigas che raccontano miracoli avvenuti tramite l’intercessione di Maria. Integrano inoltre l’opera: Le “Cántigas das Cinco Festas de Santa María”; Le “Cinco Cántigas das Cinco Festas do Nostro Señor”; Il “Cantar dos Sete Pesares que víu Santa María do seu fillo”; Una “maia”. (Nella poesia lirica tradizionale spagnola, le “mayas” o “maias” erano canzoni che esaltavano il trionfo della primavera e dell’amore nel mese di maggio (mayo). La prima segnalazione del vocabolo si ha nel “Cronica general” risalente al 1280. L’origine del termine potrebbe derivare tanto dal latino “càntiga”, quanto dal celtico“can-tica” e i primordi di queste composizioni si possono far risalire all’arte dei Trovadori dell’area galaico-portoghese. Ebbero un successo così grande da indurre Alfonso X a utilizzarne sia la lingua che la forma. Tre sono i manoscritti principali pervenuti sino a noi e si tratta dell’“Ajuda”, scritto nella seconda metà del XIII secolo; del “Colucci-Brancuti”, e del “Vaticano” comprendente 1205 composizioni. Gli autori di queste antologie appartengono alle classi più disparate: aristocratici, cortigiani, borghesi e giullari che godevano della protezione delle corti. Alfonso X (el Sabio) divenne celebre per le sue “Cántigas mariane” su tema religioso. Le “Cántigas de Santa María” si possono dividere in due gruppi:
Il “Llibre Vermell de Montserrat” è un manoscritto conservato presso il monastero di Montserrat, vicino a Barcellona. Contiene una collezione di canti medievali e altro contenuto liturgico, risalente alla fine del Medioevo. Il manoscritto fu redatto probabilmente verso la fine del XIV secolo. Inizialmente conteneva 172 fogli scritti sulle due facciate. Se ne sono perduti 35; dei 137 restanti, solo sette (fra il 21 e il 27) contengono musica. Perciò, a conti fatti, non si supera la dozzina di pagine di musica. Il nome (il Libro Rosso della Montagna segata) deriva dal colore delle copertine con cui fu rilegato nel XIX secolo e dalla particolare morfologia della montagna dov’è ubicato il monastero. Il Monastero di Montserrat, che conteneva il patrimonio musicale del medioevo, venne saccheggiato dalle truppe napoleoniche. Il Llibre Vermell è l’unico testo che si salvó dalle fiamme. Il proposito della collezione era di intrattenere con canti e danze i pellegrini che si dirigevano al monastero di Montserrat (una delle mete più frequentate nel periodo in cui il manoscritto fu compilato) e che si rifugiavano in chiesa durante la notte e stazionavano nelle piazze circostanti durante il giorno, com’è spiegato nel foglio 22 al di sotto del primo rigo di “Stella splendens”: I testi dei canti (tutti anonimi) sono scritti in Catalano, Occitano e Latino. Come già detto, la collezione fu redatta sul finire del XIV secolo, ma ci sono ottime ragioni per ritenere che la musica sia anteriore a quella data. Il mottetto “Imperayritz de la ciutat joyosa”, per esempio, prevede un testo diverso per ciascuna delle voci: tale stile compositivo era anteriore al XIV secolo. I brani della collezione a noi pervenuti sono 10:
Cantico delle Creature
San Francesco, 1224 ca.Sacro Convento - Assisiwikisource.it
Foglio 46v del Laudario di Cortona,
brano "Plangiamo quel crudel basciar[e]"wikipidedia.it
Les Miracles de Nostre Dame,
Gautier de Coinci, 1332Bibliothèque Nationale de Francewikipidedia.it
